La nostra esperienza sonora inizia prima della nascita, lo dimostrano tante ricerche che provano l’esistenza di un’audizione prenatale legata non solo alla completa maturazione dell’apparato uditivo ma anche alla possibilità di percepire il suono che viene veicolato al bambino dal liquido amniotico attraverso la ricettività del tatto e delle ossa.
Questa audizione è molto precoce e l’imprinting sonoro, il segno, la memoria, che restano sul corpo, sono tanto più significativi se consideriamo che possiamo parlare di una memoria fetale già attiva a partire dalla 16° settimana di gestazione.
Il bambino comunica e percepisce attraverso gli organi di senso che sono canali di comunicazione aperti verso l’esterno: tatto, olfatto, gusto, udito, vista e attraverso di essi riceve stimoli che determinano la sua crescita neuro-funzionale, cerebrale e motoria. In questa epoca, a ragione definita da Anzieu con il termine bagno sonoro, nel ventre materno si incontrano due tipi di sonorità: i suoni esogeni, provenienti dall’esterno ed i suoni endogeni, provenienti dall’interno battito cardiaco, respirazione, movimenti diaframmatici, borborigmi intestinali, flusso sanguigno, rumori articolari e di svuotamento dello stomaco.
Questi suoni sono la “prima orchestra”, ma tra tutte le sonorità che giungono al bambino, un’attenzione più profonda va data alla voce materna perchè è quella più interessante per il bambino. La voce della mamma emerge dai rumori di fondo ed è l’unico suono che è sia endogeno che esogeno. Ma non solo, la voce materna viene apprezzata dal bambino soprattutto per quanto riguarda il contenuto affettivo che colora la trama timbrica vocale della madre ed è in grado di rassicurare il piccolo e comunicare emozioni.
La voce materna può considerarsi dunque il primo grande generatore della relazione e può essere utilizzata al fine di predisporre percorsi che consentano alla madre di recuperare il sapere del corpo: quel sentire intuitivo, carnale, indispensabile guida in gravidanza per l’incontro con il proprio bambino.
Goccedivoce è un percorso esperienziale che parte da queste convinzioni articolandosi in una proposta che individua nel canto lo strumento privilegiato di espressione e comunicazione. Il canto viene sperimentato come la pratica che maggiormente attiva lo strumento corporeo attraverso la profondità del respiro, il sostegno del fiato, il controllo posturale, la risonanza ossea ed in gravidanza la percezione di un’onda vibratoria che abbraccia il bambino. Il suono prodotto dal corpo “cantato” viene materializzato all’interno del corpo e la vibrazione sollecita nella mamma pensieri sul piccolo percepito come essere presente e partecipe. Questo permette di apprezzare il ruolo della voce come oggetto intermediario della relazione al contempo la mamma ha l’occasione di agire il proprio benessere personale sperimentando che può essere protagonista attiva della sua armonia psicofisica e della comunicazione con il suo piccolo: attraverso il canto, indirizzando al bambino il suono da lei prodotto, e grazie alle qualità tattili che il suono possiede, essa può comunicare affetto e toccare la sua pelle, prima che egli nasca.
Goccedivoce , quindi, prepara la mamma all’incontro con il suo bambino allontanando la tensione, liberando le emozioni, ma anche stimolando e tonificando il diaframma, i muscoli intercostali e il bacino e svolgendo così, una potente azione autoanalgesica attraverso il rilassamento dei tessuti e la produzione di endorfine. Tale percorso, d’impronta prettamente esperienziale, ha come fine principale quello di fornire uno strumento di relazione immediatamente fruibile alla nascita del bambino puntando sulla consapevolezza del senso e dell’importanza che in questo ambito la voce può avere.
Bibliografia
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